RICORDO DI MICHELE CAPRA
Ricordare Michele Capra, una delle figure più limpide e più significative del cattolicesimo democratico bresciano, è assai impegnativo, perché la sua ricca testimonianza di uomo pubblico non può essere liquidata con qualche affermazione retorica, bensi sollecita, ad ogni tappa della sua vita, una riflessione profonda non solo per un cristiano impegnato nell'ambito civile ma anche per qualunque credente.
Da parte di quanti nel mondo cattolico vogliono risvegliare l'attenzione all'impegno civile, in questa stagione di grandi trasformazioni, si fa spesso riferimento all'esperienza umana e civile di coloro che non si sono limitati a tenere per sé la fede, ma l'hanno testimoniata e fatta vivere nel loro tempo, spendendosi in un ruolo pubblico a contatto e a confronto con altre culture. Michele Capra è stato uno di questi e, per di più, espressione genuina di un mondo popolare laborioso e onesto, istintivamente innamorato della libertà e della giustizia.
Quando l'ho conosciuto ero giovane studente, negli anni delle utopie e delle grandi speranze, eppure ho provato subito un forte fascino verso quest'uomo che rifiutava le fughe in avanti, ma che sentivo cosi ricco di valori, conquistati in un'esperienza di vita che veniva da lontano. Non l'ho mai sentito esaltare gli anni della Resistenza per farsene motivo di vanto personale, anzi era molto schivo e riservato; ma bastava ascoltarlo e ti conquistava.
L'essersi battuto per la libertà e per la difesa della dignità umana lo aveva reso tollerante verso gli altri e però intransigente verso se stesso. Per quanto io so, non conosceva mezze misure, né nell' impegno sociale, né in quello politico, e, forse per questo suo rifiuto istintivo della mediazione, quando essa poteva sembrare mortificazione di ideali a lungo coltivati, è sempre stato uomo di punta, esempio di viva testimonianza, riferimento per minoranze fortemente consapevoli e motivate.
La partecipazione alla Resistenza l'aveva segnato fin da giovane e non vi è tappa della sua vita, che non sia contraddistinta dai valori attinti in quell'impulso generoso e impegnativo, vissuta, come l'esperienza di fabbrica più tardi, a fianco di uomini di credo ideologico diverso. In Michele Capra, senza ombra di dubbio, si incarnava, e basterebbe rileggere un discorso tenuto in Piazza della Loggia in occasione dell'ultimo 25 aprile della sua vita, un antifascismo di ispirazione cristiana, fortemente ammantato di moralità e però consapevole dei valori irrinunciabili della democrazia, come terreno laico sul quale costruire l'emancipazione civile e sociale delle classi popolari. In un tempo come il nostro nel quale non può non preoccupare una certa indifferenza, quando non il rifiuto della politica in vasti settori del mondo cattolico, figure e testimonianze come quelle di Michele Capra potrebbero rappresentare esempi da proporre ai giovani cattolici, a molte energie generose ed entusiastiche, che, altrimenti rischiano di vivere la loro fede in una dimensione asettica, intimistica, sganciata da qualsiasi riferimento storico-culturale.
Deve far riflettere il fatto che tra i cattolici tendano a prevalere o il ritorno ad atteggiamenti integralistici, quasi settari, oppure la dispersione verso comportamenti individualistici, comunque incapaci di incidere nella realtà civile, premonitori di una possibile consunzione di una tradizione che pure ha visto il mondo cattolico nella storia del nostro Paese capace di un contributo originale, decisivo per le sorti del sistema democratico.
Anche ciò che Michele Capra ha costruito nell'impegno sociale acquista un peso progressivamente maggiore, quanto più trascorre il tempo e viviamo la crisi del sindacato e l'impoverimento del ruolo delle organizzazioni che sono sorte dentro il filone della cultura sociale cristiana.
In Capra non è mai prevalsa la tentazione della totalità della dimensione sociale, perché, vivendo le vicende più significative del mondo del lavoro bresciano negli anni della ricostruzione e del boom economico, aveva capito che, senza un collegamento tra dimensione sociale e dimensione politica, trionfa la mentalità corporativa e i lavoratori diventano subaltemi a disegni ideologici astratti oppure a interessi più grandi di loro. C'era una preoccupazione costante nelle sue prese di posizione e nelle sue scelte più difficili: fare in modo che i lavoratori diventassero classe dirigente attraverso la militanza sindacale fino all'impegno politico. E nella Democrazia Cristiana considerava prioritaria l'attenzione al mondo del lavoro per salvaguardare la natura popolare del partito e il suo ruolo progressista nella società, né ha fatto mancare, negli anni in cui ha conosciuto l'esperienza parlamentare, i suoi continui appelli al rinnovamento delle idee e degli uomini, al primato della moralità e della competenza nella gestione della cosa pubblica. L'ho sentito ripetere spesso che la politica è l'impegno più nobile e più alto dell'uomo, il primo apostolato di un cristiano, se praticata con onestà e rettitudine. Non considerava però la politica un assoluto, cui si debba tutto subordinare e, se necessario, tutto sacrificare; essa non può mai esigere il sacrificio della coscienza e dell'ordine morale; non può mai divenire il valore supremo e quindi il criterio ultimo secondo cui valutare tutto il resto; non può divenire lo scopo ultimo dell'esistenza fino a non vivere se non per essa. Piuttosto da cristiano praticò la politica, come impegno sociale nelle ACL! e nella CISL, come servizio, con forte senso dello Stato, con distacco personale, come scelta preferenziale dei più deboli, come scelta di collaborare con tutti coloro che vogliono, sia pure partendo da premesse ideologiche diverse, il vero bene della comunità.
Rifiutava istintivamente, perché la disprezzava e la considerava priva di dignità e di senso, la politica ridotta a meschini giochi di potere, fatta servire al soddisfacimento di ambizioni personali e a illeciti arricchimenti.
In Michele Capra l'intransigenza non è mai stata bigottismo, bensì espressione di una profonda moralità. Non calcolava i comportamenti e le scelte in base agli effetti che essi potevano determinare. L'importante era per lui servire la propria coscienza. Anche il suo ultimo gesto di uomo politico, la rinuncia al mandato parlamentare dopo due legislature, è un segno coerente della sua personalità. Scrisse al partito che lo faceva «perché è giusto che gli anziani lascino ad altri uomini più giovani la possibilità di porre al servizio della Democrazia Cristiana le loro fresche e generose energie».
Il rigorismo con se stesso e con gli altri non potevano farne un leader. È stato piuttosto un maestro. E la politica, la Democrazia Cristiana, per riprendere credibilità ha tanto bisogno di maestri come Michele Capra.
Nessun commento:
Posta un commento