Giuseppe Taini

14 Luglio 1988
Incontro commemorativo
Salone del comitato provinciale D.C. in via Tosio, Brescia
Relazione di Giuseppe Taini

La politica come mezzo di riscatto delle classi popolari 


Cari Amici, Caro Segretario, ricordare oggi, nella sede del Partito, la tragedia di una famiglia (di Emanuela, Francesca, Elisabetta e Gervasio Pagani) e la memoria di un amico carissimo, e un po' come rivivere, almeno per me, quel 13 luglio di un anno fa, quando lo sbigottimento, la costernazione, lo sgomento e poi l'angoscia ed il dolore, irruppero con la loro carica di drammatica verità, nella modestia di un dibattito che si svolgeva nella sala della Direzione, a cui io avevo perfino sperato che Gervasio giungesse in tempo per parteciparvi.

Furono giorni di lutto per la D.C. bresciana, per i1 gruppo degli amici, per la sua comunità e la sua famiglia, segnati però da una straordinaria partecipazione popolare, quasi che i1 popolo democristiano, e non solo quello, volesse restituire quel di più di affetto che a Gervasio vivo forse non era state capace di dare, almeno nella misura in cui lui lo meritava.

Ho fatto uno sforzo, caro Segretario, per raccogliere questa invito - che pure mi commuove e onora - a commemorare Gervasio; sì, perchè anch'io da allora mi interrogo sui miei doveri di amico e di democratico-cristiano e non sempre supero i1 rimorso di non aver fatto tutto quello che dovevo per Gervasio Pagani.

Ecco perchè oggi farò fatica - e me ne scuso con Voi - a commemorare Gervasio, che pure conoscevo così bene da ormai quasi vent' anni. Vi dirò allora di qualche ricordo, di qualche impressione di un amico sulla sua breve, intensa e tragica vicenda politica ed umana, di qualche illuminazione su un giovane uomo, che le vicende della vita avevano fin da piccolo abituato ad una responsabilità dura, che aveva dovuto velocemente superare l'età dei balocchi per immergersi subito in quella delle responsabilità.
E allora prima di tutto l'uomo e l'amico: chi l'ha conosciuto bene sa della sua generosità estrema nell' amicizia e nella disponibilità verso gli altri, sa del suo preoccuparsi anche dei problemi banali che riguardavano gli amici, della sua capacità di tenere conto - lui che così rigido appariva talvolta - delle debolezze e delle vicende umane e della sua abitudine ad evitare i giudizi sulle persone considerate nella loro dimensione privata; (mi è rimasta impressa, a questo proposito, la sua sofferta partecipazione al grave lutto familiare di un amico di partito, poco prima che ne accadesse a lui uno ancor piu grande). Così come era invece, in politica, diverso e specula mente intransigente sulle cosiddette pubbliche virtù, sui comportamenti trasparenti che lui considerava l'essenza della moralità pubblica.

Certo, lui praticò anche una rigorosa, talvolta persino fastidiosa per i1 costume di molti di noi, coerenza tra la moralità pubblica e quella privata, tra i1 dire e i1 fare, tra l'essere e l' apparire; ma vi assicuro, amici, che siccome nessuno nasce eroe o santo, che questa coerenza era assai scomoda anche per lui, che pure dalla educazione familiare e religiosa aveva imparato la cultura del sacrificio.

Lui che viveva la politica quasi come una religione e che ne detestava il professionismo, e che non aveva mai mancato una volta - ad esempio - ai suoi doveri di insegnante, anche quando le nostre non sempre piacevoli riunioni notturne non lo facevano riposare, magari per intere settimane, anche solo qualche ora per notte. A quando ancora negli ultimi giorni della campagna elettorale dell'anno scorso continuò, contro ogni sollecitazione degli amici, ad attribuire piu importanza agli scrutini dei suoi alunni che alle cure dei suoi possibili elettori.

Certo c'era in lui ed in quella sua coerenza anche una dose di fierezza orgogliosa; l'idea cioe che i comportamenti seri, eticamente motivati, la preparazione culturale, l'intelligenza e l'impegno politico alla fine dovessero, più che o almeno al pari della agitazione clientelare, trovare consenso e riconoscimento.

Sappiamo invece che non solo spesso non è così, ma che il tema della selezione della classe dirigente e del crescente influsso nelle competizioni elettorali degli interessi costituiti, delle lobbies, delle corporazioni, talvolta perfino del malaffare, è un tema che non appartiene piu alla emergenza morale ma a quella politica: e cioè uno dei quesiti intorno ai quali si giocano i destini della sopravvivenza della politica - intesa come promozione alla corresponsabilità civile di tutti i cittadini - e della stessa sopravvivenza dei partiti popolari nel nostro Paese.

E un tema che affascinava Gervasio; che è stato al centro di tante sue riflessioni, specie dopo le vicende elettorali delle Europee e che avevamo iniziato a riprendere, proprio pochi giorni prima della sua partenza per quella vacanza, che più non ce lo restituirà, anche con riferimento alla Sua personale vicenda elettorale.

E' un tema che, come sempre, Gervasio riusciva ad affrontare con grande ottimismo, facendo leva sulle possibilità di mobilitare Ie persone, di motivarle, di renderle protagoniste dei propri destini, un tema che, forse in misura eccessiva, lui affidava alla possibilità di riscatto della politica e della militanza.

Ho già detto che vi era nel suo fare politica un autentico senso religioso; davvero in lui la politica era intesa e vissuta come un esercizio di carità nei confronti del prossimo. Cio gli veniva dalla sua profonda, strutturata, coltivata senza ostentazione, anzi difesa con pudore, ispirazione cristiana e fede religiosa.
Questa vena di autentica religiosità politica era anche la forza che credo lo sostenesse nei momenti di maggiore solitudine ed era la fonte cui traevano alimento anche le sue intuizioni un poco profetiche e le sue iniziative meno ortodosse.

Ricordo bene come proprio per queste ragioni apprezzasse le posizioni politiche che facevano di una ispirazione morale ed etica la base della loro motivazione; e perciò il convinto apprezzamento - ad esempio - della proposta berlingueriana dell' «austerita», incompresa da una società e da un mondo che andavano velocemente spostandosi verso i riti del consumismo, del modernismo e dello scambio neocorporativo; coì pure la sua preoccupazione, ancora nel rapporto con il PCI, che l' abbandono della linea della «diversità», omologando quel partito del tutto agli altri, facesse scomparire anche quell'afflato di idealità, che rende diversa la politica dalle transazioni degli affari; preoccupazioni che certo oggi possono apparirci eccessive.
Da lì, da quella preoccupazione, il suo continuo richiamo ai valori; a quelli della ispirazione cristiana in primo luogo, considerati da Gervasio necessari come le radici di ogni politica del movimento dei cattolici democratici.
E in questa ispirazione cristiana vedeva la superiorita morale, il baluardo indistruttibile delle nostre poche certezze, cui ancorare il mare di incertezze che la politica ci regalava; quante volte si consolava e mi consolava di fronte alle inevitabili delusioni e sconfitte della politica - sotto quei lugubri piantoni del viale di casa sua, in colloqui notturni interminabili, che io talvolta cercavo di abbreviare ricordandogli i suoi obblighi di insegnante mattutino - confrontando le nostre delusioni con la crisi del mondo marxista e comunista, che pure rispettava, e con la poverta spirituale di quella cultura rispetto alla quale noi avevano l'immenso vantaggio di credere in Dio!

Qualche volta retoricamente mi domandava «se era fuori dal mondo», pensadola così; «un poco sì» gli rispondevo io, ma suggerendogli di starsene fuori, finche ci riusciva, perchè dentro - secondo me - ce n'erano gia anche troppi.
Ricordo che nella primavera 1985, avendo ricevuto da qualche amico il consiglio di acquisire esperienza amministrativa gli venne proposto di candidarsi per il Consiglio Provinciale con la prospettiva di diventare forse Capogruppo D.C; io lo sconsigliai, parendomi che quella scelta avrebbe potuto, lui così diverso, immergerlo ed omologarlo ad una cultura ed una prassi amministrativa che spesso - lo dico per diretta esperienza - toglie spazio e peso alle idealità e alla freschezza della elaborazione politica e culturale di cui davvero vi è invece bisogno, ancor oggi, nel nostro partito.

Mi sono spesso interrogato sulla giustezza di quel consiglio - che Gervasio seguì - e sul rimorso che forse qualche esperienza amministrativa diretta gli avrebbe fatto guadagnare quei pochi voti che gli sono mancati per il Parlamento; rna alla fine mi sono convinto che è stato meglio che Gervasio sia rimasto così, come noi l'abbiamo conosciuto.

Un altro valore cui spesso faceva riferimento nella sua iniziativa politica era quello della solidarietà e della attenzione, così come si dice oggi, agli emarginati e agli ultimi. Su questo aspetto ho però sentito in questi mesi delle interpretazioni e delle rielaborazioni che mi paiono riduttive del pensiero e del messaggio di Gervasio Pagani.
Pagani non ha mai concepito la politica come una sorta di surrogato attuale della San Vincenzo; anche nei suoi richiami alIa Chiesa, al messaggio evangelico o al Cardinal Martini vi era soprattutto l' affermazione di un principio etico, di un fondamento morale su cui appoggiare la rivendicazione della politica; ma la sua concezione della giustizia sociaIe era espressione piena della politica, intesa come mezzo per il riscatto e la legittimazione totale - in termini di partecipazione, di corresponsabilita e di potere democratico - delle classi e dei ceti popolari - cui tanto teneva - e non certo soltanto come lo strumento di politiche assistenziali e risarcitorie. Solo in questa senso si puo comprendere in pieno anche la sua polemica contro i limiti della impostazione liberaldemocratica anche nella sinistra D.C.; la politica doveva cioè essere posta al servizio di una promozione umana, culturale, economica e sociale delle classi popolari, della loro piena integrazione nello Stato democratico. In questa convinzione stava anche la radice vera della sua attenzione al mondo comunista.


Allora anche la solidarietà, cui tanto spesso pure Gervasio faceva riferimento, diventava non il fine della azione politica, ma uno strumento per la realizzazione di quelle condizioni di pieno sviluppo della personalità umana, qualunque fosse la condizione sociale di origine o di appartenenza degli individui.
Lo stesso rinnovamento del partito e della politica, per cui tanto si spese e su cui maturò delusioni e consumò impazienze, aveva in questa idea la sua motivazione; il partito, nella sua concezione, era uno strumento (insieme alle ACLI, al Sindacato ed alle Associazioni) di questa promozione umana, civile e sociale e perciò doveva funzionare al meglio e non costituire, come ancora accade, magari un ostacolo a questa disegno.
Anche la sua polemica, dentro e fuori la sinistra democristiana, aveva questa duplice obiettivo: la preoccupazione dello sclerotizzarsi di uno strumento di partecipazione democratica, quale il partito popolare e, insieme, il venire meno delle motivazioni, anche di ordine sociale, che avevano orientato la scelta civica del movimento dei cattolici democratici nel nostro Paese.

Certo anche l' elaborazione di Gervasio Pagani soffriva di qualche limite culturale specie sul terreno economico, di qualche impazienza giustizialista, di qualche parzialità, che gli veniva anche dalla sua storia personale; ma al fondo della sua analisi e della sua attenzione stava davvero l'uomo con tutta la sua potenzialita di "uomo integrale".
Questo concetto di sviluppo delle potenzialità della persona umana Gervasio - poco è stato sottolineato - lo ampliava e trasferiva anche ai popoli, ai meccanismi del loro sviluppo, al conflitto Nord/Sud, ai temi della pace, temi per i quali nutriva un grande interesse e sui quali intratteneva relazioni e rapporti anche con personalità notevoli del nostro mondo politico, culturale ed ecclesiale.

Nelle sue puntuali relazioni al Comitato Provinciale, quando ne era Segretario, la politica estera ed i temi della pace occupavano sempre un posto rilevante; non era - come qualcuno potrebbe pensare - il rituale omaggio allo schema politico italiano e democristiano di impostare le relazioni (il mondo - l'Italia, il Partito); era davvero l'interesse ad argomenti che collocavano la sua ansia di riscatto delle posizioni emarginate dentro un orizzonte universale.


Del resto io Gervasio l'ho conosciuto così, sui grandi temi della politica estera, sui dibattiti che all'inizio degli anni '70 hanno coinvolto intere generazioni (quella del Vietnam per intenderci); veniva da lì, da quelle esperienze giovanili, la sua passione per Ie grandi questioni del mondo, da quella esperienza di contestazione sessantottesca che nelle nostre contrade si riversò nei primi anni.
Cominciò da quella sua passione per le grandi vicende del mondo (il Vietnam, il Cile di Allende e Pinochet, la rivoluzione culturale cinese e soprattutto i fermenti della Chiesa postconciliare con la diaspora del mondo cattolico) la sua attivita politica; prima coinvolgendo i giovani del suo paese, Coccaglio, poi allargando la sua leadership ad altri fermenti che allora nascevano in quel luogo di frontiere della tradizione democristiana, che sembrava a noi essere il Movimento Giovanile della D.C.

Franco Franzoni a Castegnato, Danilo Guarneri a Rodengo Saiano, Tonino Zana ad Orzinuovi, Aurelio Bertozzi a Travagliato, io ad Ospitaletto ed altri ancora costituimmo per molto tempo, prima di dividerci e di disperderci dentro Ie vicende della politica e della vita, un gruppo di amici impegnati a scuotere, tavolta violentemente e senza rispetto, la palude sonnolenta delle amministrazioni e delle sezione dorotee del tempo, che poco facevano - almeno a noi pareva - per andare incontro ai tempi nuovi, alle nuove esigenze che così tumultuosamente irrompevano, in quegli anni anche in provincia, nella vita politica e sociale.

Ed allora convegni, riunioni, manifestazioni, fogli di agenzia, dibattiti e perfino quei ritiri suI Monte Orfano ad immaginare per giorni interi come potesse essere governato il nuovo, con documenti ed analisi che, se certo rivisitati oggi risentirebbero del clima dell'epoca e di qualche ingenuità, ma che sono poi stati la base dei programmi e delle politiche amministrative - allora assai innovative nel metodo e nel merito - delle amministrazioni di quella Comunità negli anni '75 e seguenti.

Ed il motore di quella frenetica attivita, che contribuì non poco a trattenere, in anni assai difficili, dentro i confini della tradizione democratico-cristiana - e perfino a recuperare - molti giovani, era lui: Gervasio Pagani.

Gervasio, che camminava sempre un passo davanti a noi, aveva già allora una preoccupazione, che poi diventò una caratteristica della sua azione politica: il coinvolgimento e la promozione di nuova classe dirigente.
Assillato come era dall'urgenza del suo progetto di legittimare pienamente i ceti popolari alla guida anche delle comunità locali, sottolineava continuamente la necessità della preparazione culturale, politica ed amministrativa come uno strumento indispensabile per la piena legittimazione democratica, riecheggiando la sua insistenza, l'insegnamento e l'opera di Don Milani, figura che egli amava a cui credo, anche nella sua attività di insegnante, abbia fatto riferimento.

Poi venne per lui, ed anche per qualcuno di noi, l'ora di quella che immaginavamo la grande politica; dagli incarichi nel movimento giovanile, al Comitato Provinciale, alIa Segreteria Provinciale al Consiglio Nazionale del Partito e l'idea di poter trasferire lì 1'entusiasmo e l'impazienza della nostra esperienza periferica.
Ma non fu così, non poteva essere così.

Di tutta questa attività e di questo così lungo tragitto politico, percorso tutto da Gervasio sempre con l' emozione e l' entusiasmo del neofita, voglio solo sottolineare due dati:

-una sorta di solitudine, sia pure dentro un gruppo di amici, che lo ha sempre accompagnato e che lo portava solo alla fine del confronto e del dibattito a rassegnarsi del risultato finale che, inevitabilmente a Brescia come a Roma, recepiva solo in minima parte quelle esigenze di rinnovamento, di rinvigorimento e di trasparenza, politica e morale, della iniziativa del partito;

- il suo grande rispetto per il Partito; fedele alla idea che anche il suo progetto non aveva altri canali di sviluppo che il partito popolare, pur sforzandosi e sforzandoci ad aprire il partito alla società civile, agli esterni, al mondo della cultura e del lavoro, al mondo cattolico sempre evocato, ma sempre con l' obiettivo non di sottometterlo ma di rinvigorirlo e di innervarlo; il primato per lui, che negli ultimi tempi aveva imparato a conoscere che cosa era davvero talvolta la società civile, era quello della politica.

Ricordo sempre come fosse grato al Partito di avergli consentito l'esperienza della Segreteria Provinciale; un'esperienza peraltro in alcuni momenti di grande amarezza e solitudine, ma di cui era fiero anche perchè dimostrava, nonostante tutto, la grande libertà ed apertura della Democrazia Cristiana.

Avergli consentito, per esempio, di ritornare da Segretario Provinciale in una delle Sezioni della Provincia, da cui era stato letteralmente buttato fuori, era per lui, che sentiva e sapeva di essere un poco eccentrico nella realta democristiana, la dimostrazione visiva della democraticità della nostra organizzazione politica.

Non parlerò della sua avventura elettorale al Parlamento; essa è troppo vicina e troppo collegata, per me, alla sua tragedia, perchè possa essere sereno nell'esaminarla.
Dirò solo che, pur essendo Gervasio un tenace ottimista, fu per lui una grande, grandissima delusione l'esito di quella battaglia; era come se gli si fosse squarciato davanti il velo che ancora divideva la sua ottimistica visione delle cose e delle persone, per mostrargli davvero fino in fondo, se ancora ce n'era bisogno, la durezza della politica e della vita e l'inesorabilita con la quale gli interessi forti si fanno largo.

Ma qualche giorno dopo, e fu l'ultima volta che lo vidi, già mi parlò di raddoppiare l'impegno - e come sempre si riferiva soprattutto a se stesso -: mi disse che proprio la delusione elettorale - che viveva in termini preoccupati più per il suo gruppo politico che per se - era il segno della necessità di far di più e meglio per garantire le condizioni perchè anche «i Gervasio Pagani», con il loro candore, trovassero posto e spazio meno faticosamente nel Partito e nelle Istituzioni della Repubblica.
Io Gervasio 1o ricordo così; potrei dire molte altre cose, ma oggi mi piace ricordarlo per come tutti l' abbiamo conosciuto, con la sua ansia di capire e di far capire, con quella sua generosa irruenza, con quella sua vocazione pedagogica per i giovani e per noi tutti ed anche con quelle sue impazienze che si infrangevano contro i ritardi della nostra vita politica e civile, ma insieme con quella sua infinita speranza e fiducia nelle possibilità del confronto e del dialogo.

Ho molti ricordi di lui; concluderò citandone uno.
Quando nel maggio 1974 dopo la strage di Piazza Loggia, anche nei paesi della Provincia vennero organizzati dal Comitato Antifascista, che allora esistevano quasi dappertutto e che erano spesso dei Comitati antidemocristiani, delle manifestazioni popolari, a quella di Ospitaletto, dove ero Segretario di Sezione, per la D.C. invitai Gervasio, che aveva allora ventiquattro anni. Quando inizio a parlare, in una piazza che non ho piu visto così gremita e dove l'intolleranza verso la D.C. era fisicamente palpabile, ci fu un tentativo, subito sventato dall' oratore, di zittirlo; ma alla fine del suo appassionato discorso, davvero coinvolgente, che seguiva quelli del socialista Balzamo e della comunista Vespa, un gruppo di operai, un poco stupiti dalla sua militanza democristiana, sentirono il bisogno di dirmi, in dialetto: «ma chesto che, l'e stat el pio brao».
Sì, amici, anche per me Gervasio e stato «il più bravo».

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