13 Luglio 1988
Incontro commemorativo
Teatro nel Castello di Coccaglio
Testimonianze di don Mario Pasini, Renzo Baldo, Giambattista Scalvi
Prof. Renzo Baldo
Fuori dagli intellettualismi per la formazione di una coscienza critica
Sono stato invitato da coloro che hanno preso questa iniziativa di ricordare Gervasio, perche si ricordavano che per parecchi anni sono stato collega di Gervasio Pagani in una scuola di Brescia dove Gervasio insegnava storia e filosofia. E stato mio collega di sezione, l'ho conosciuto quando era un giovanissimo neolaureato. Dall'intervento dell'avv. Scalvi che ha vissuto con Gervasio importanti esperienze politiche e sociali, avete sentito quanto erano vasti gli orizzonti di interesse e di impegno di Gervasio. II mio intervento vuole essere invece una semplice testimonianza esistenzialmente vissuta fino a intrecciare una cordiale amicizia che ha avuto Ie sue radici in un terreno piu ristretto, quello della scuola; terreno piu ristretto, rna terreno dove si possono misurare tante cose, dove si possono conoscere gli uomini, talvolta in modo anche piu profondo che non su altri terreni che sembrano forse di maggiore risonanza.
Ho conosciuto Gervasio quando era giovanissimo ed io ero un professore gia anziano il che, posso pur dirlo, mi ha consentito di avvertire subito Ie sue qualita di insegnante e di uomo aperto a una grande e solida ricchezza di interessi. Chi non è esperto di scuola forse non si rende conto esattamente di quello che sto dicendo, rna cerco di chiarirlo. Nella scuola si verifica un fenomeno che potremmo chiamare di atomizzazione o di forte individualismo, cioe ciascun insegnante fa il suo lavoro, Ie sue lezioni, si incontra ogni tanto con i colleghi per ragioni di carattere burocratico o per gli scrutini e poco altro: c'e una sort a di separatezza, di individualismo, ho detto, di cui ora non voglio analizzare Ie cause, che sono molto complesse. Evidentemente e il segno di un limite che c'e nella nostra societa e che si riflette nella scuola. Cosa accade nella scuola? Si determinano facilmente delle incomprensioni, delle diffidenze, qualche volta purtroppo anche degli scontri aprioristici di natura ideologica, che spesso spingono ognuno ad andare solo, isolato, sulla sua strada.
Con Gervasio mi sono accorto che Ie cose non andavano cos!. Gervasio era pronto a parlare, a discutere, a trovare il punto di contatto, ad interessarsi dei problemi dei colleghi e soprattutto a prendere quel contatto autentico, esistenziale, che consiste nel costruire dei confronti di cultura, dei confronti di esperienza didattica. Sappiamo che sono parecchi anni che a livello ministeriale ci si sforza di portare avanti questa esigenza, inventando strumenti vari, tipo i corsi di aggiornamento o altro, strumenti che secondo me servono a poco, per tante ragioni. Lo strumento fondamentale e, nell' attuale contesto storico nostro, quello della disponibilita culturale, razionale, dell'insegnante a incontrarsi con gli altri insegnanti. Ebbene Gervasio mi ha stupito perche aveva questa dimensione.
Come ci incontravamo? Nelle ore in cui non avevamo lezione, negli intervalli della ricreazione. Almeno un paio di volte alla settimana, per anni, io ho sempre discusso con Gervasio Pagani. Si discuteva dei problemi della scuola, rna i problemi della scuola non sono isolati dal mondo, i problemi della svuola hanno Ie loro radici nella cultura, hanno la loro origine nei problemi politici e della societa. Questi incontri, queste conversazioni ci vedevano tavolta concordi, talvolta in disaccordo, rna ci portavano sempre, all'esperienza fondamentaIe, dell'incontro, del confronto.
Questa e la prima cosa che voglio ricordare di Gervasio, perche e una cosa che ancora oggi, ripensandoci, mi commuove profondamenteo Questo giovane che era sempre aperto e disponibile al confronto culturale, che non aveva chiusure, che portava avanti il proprio discorso non in termini di difesa della propria ideologia rna in termini di confronto con altre ideologie, con altri orizzonti culturali.
Un'altra cosa voglio dire di Gervasio. Non soltanto aveva questa disponibilità e questa capacià di conversazione, di cordialita, di tratto, di capacita di confronto delle culture, rna era anche sempre pronto a ripensare ai propri procedimenti didattici in base alle discussioni che si facevano. Tutti sanno che di solito gli insegnanti giovani tendono a peccare in due punti, o meglio in uno o l'altro di questi due punti: o sono lassisti, lasciano correre, perche si ricordano dei recenti loro anni di studenti quando erano perseguitati dal ritmo un po' ossessivo della scuola e non vogliono far scontare agli alunni questa tipo di esperienza o sono di un autoritarismo insopportabile diventano dei «signori» del registro. Tutti e due questi atteggiamenti sono profondamente sbagliati.
Ora io mi sono accorto che Gervasio lassista non era assolutamente, era semmai disponibiIe e pronto, era intransigente nel confronto con i propri alunni e questa poteva dare qualche volta la sensazione che fosse un insegnante severo. Ma questo è il punto che voglio richiamare perche mi pare estremamente interessante per capite Gervasio. La sua severità non era la difesa del registro, la difesa della astratta professionalita o la difesa del suo prestigio: era la consapevolezza che l'insegnante ha una grossa responsabilita. Una responsabilita che ha due facce, due risvolti: una e quella della formazione dei giovani; l'altra e quella di non attestarsi su posizioni irrigidite, fossili, stereotipate, rna di continuare a rinnovare la propria cultura, perche un insegnante rende come insegnante soltanto se non si ferma.
E Gervasio era su entrambi questi risvolti estremamente vivo, vivacissimo, sentiva che la sua responsabilità era quella di aiutare i giovani a formarsi. Ma cosa vuol dire formarsi? Certo vuole dire acquisire determinate nozioni - insegnava storia, insegnava filosofia - ma la cosa fondamentale è che Gervasio aveva la consapevolezza della formazione come formazione della coscienza critica, non tollerava che i suoi alunni ripetessero a memoria Ie frasi, non tollerava che il sapere fosse una scaffalatura, voleva sempre che si pensasse, che si ragionasse, ed era quindi particolarmente attento a due cose fondamentali: una, a non dimenticare la propria ideologia siamo in un'epoca in cui si continua a parlare di morte delle ideologie: mi limito solo a dire che per fortuna Gervasio non era di questi perchè era ben consapevole che l'assenza totale dell'ideologia è il nichilismo, e un pragmatismo dissolvente e corruttore, Gervasio invece ci teneva alla sua idelogia, al suo cattolicesimo, alla sua formazione professionale, alla sua scelta politica.
L'altro aspetto è che un insegnante non puo entrare in scuola e portare una ideologia come se fosse una verita da distribuire, ma deve portarla come punto di partenza delle sue convinzioni, del suo sapere, del suo comportamente come uomo e come intellettuale per metterla a confronto con altre forme di cultura. Sappiamo tutti che Gervasio militava in un partito, aveva una formazione culturale e religiosa ben precisa, anzi perfino rigorosa. II che io so, a molti, ragionando con astrattezza aprioristica, da sempre qualche sospetto e diffidenza, quasi che la fermezza delle convinzioni debbe necessariamente essere l'anticamera dell'incomunicabilita e dell'assenza di dialogo.
Ma Pagani era esattamente il contrario. Ed era facile per esempio, verificarlo anche in sede di esami, dove i suoi alunni si mostravano particolarmente formati proprio sugli orizzonti culturali che non erano, in senso stretto i suoi: una prova esemplare della autenticità della sua figura di insegnante.
In quelle conversazioni che facevamo almeno un paio di volte alla settimana, si parlava di tutto. Mi piace ricordarlo anche in quel suo modo di discutere talvolta irruento, talvolta ironico; talvolta si serviva, gli piaceva moltissimo, del dialetto. Voglio ricordare una frase che mi ha colpito molto una volta quando, finendo una conversazione, esclamo: «Pudì ciciara isè, se ve pio ulentera a scola». Una errata attenuazione di gusto riduttivo: «ciciara», certo, erano «chiaccherate», però di contenuti che avevano la loro rilevanza.
Ma Gervasio non tollerava la retorica, non tollerava l' enfasi, non tollerava Ie ostentazioni. Quel linguaggio, quel dialetto gli serviva proprio per dare alle cose una particolare pregnanza, un significato radicale, un significato popolare. Io ho sentito parlare qui di orizzonti politico-sociali che appartengono a certi ambienti del mondo cattolico. Ecco, io mi sono accorto che questa aspetto in Gervasio era veramente molto importante. Nel suo cattolicesimo era leggibile quanto di piu autentico e profondo c'e in quei settori della cultura cattolica che può portare i cattolici a essere protagonisti, nelle forme piu varie, in forme estremamente impegnate, di una battaglia, non facile.
Gervasio sentiva questo in modo fortissimo, tanto è vero che guardava con grande diffidenza ogni forma della cultura, comprese quelle dell'area in cui militava, che andasse verso intellettualismi, astrattezze o estetismi che tagliassero fuori questa radice concreta, realistica, popolare. Mi ricordo certe conversazioni che si facevano su certi aspetti della vita intellettuale del nostro tempo: lo inducevano talvolta alla diffidenza, talvolta alla protesta decisa, netta. II suo cattolicesimo lo portava a questa capacità di giudizio, a questa capacità di impegno su un orizzonte ben chiaro, ben preciso, con giudizi anche spesso severi. Sono, queste, caratteristiche di eccezione. Sappiamo tutti che quando si commemora una persona, che purtroppo una fatalità fa scomparire, si rischia di fare degli elogi che qualcuno puo pensare di comodo rituale. Siccome io questa abitudine credo di non averla mai avuta, non sarei riuscito ad averla nemmeno nel caso di questa commemorazione di Gervasio. Sicchè quando parlo di qualità eccezionali ne sono veramente convinto.
Voglio raccontarvi un altro episodietto. In una sede di esami dove si esaminavano gli alunni di Gervasio Pagani, un insegnante che era
di orientamenti culturali e politici radicalmente diversi da quelli di Gervasio Pagani, verso la fine di questi esami ha detto: «E adesso io scriverò una lettera a questa Gervasio Pagani, che non ho mai visto nè conosciuto, per congratularmi con lui per la serietà, l'onestà intellettuale, l'impegno etico che ha messo nel formare questi suoi alunm». Tre giorni dopo Gervasio Pagani era morto e quella lettera non è mai stata scritta.
Ma io ricordo ancora con commozione questo episodio che mi ha veramente colpito profondamente.
Sicuramente si potrebbero dire altre cose, però penso che quanto ho detto possa essere già sufficiente per capire come io ho sentito Gervasio Pagani. Spero di essere stato, anche se minimamente, in grado di dare una testimonianza capace di inquadrare Gervasio Pagani nella sua dimensione umana, dimensione politica e sociale, dell'impegno, e al tempo stesso antecedente all'impegno, non perchè Gervasio pensasse queste due cose scollegate fra loro, rna proprio perchè queste due cose erano in lui estremamente legate. Gervasio sapeva benissimo che l'orizzonte politico e sociale che ci si propone deve nascere da una cultura consapevole, orientata ad umanizzare il mondo.
L'uomo di cultura, l'insegnante, ha il dovere, la responsabilita di assumere per se orizzonti culturali chiari, nitidi, razionali, consapevole che facciano da supporto alla propria adesione ad un progetto politico e sociale e al progetto educativo al quale deve dedicarsi quando sceglie di operare nella scuola.
Questa sintesi, questo connubio, questa capacita di far intrecciare questi due elementi e stata la cosa veramente piu straordinaria di Gervasio, che io ricordo qui veramente con grande commozione.
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