IL RICORDO DELL'UCCISIONE DI ALDO MORO 9/5/1985
La tragedia che, cinque anni fa, sottrasse Aldo Moro alla vita, ai suoi cari, al Paese, agli amici, doveva disarticolare il sistema democratico. Provocò, invece, una reazione forte, non di semplice sdegno, ma di solidale rifiuto della logica della violenza come arma politica. Restituì a molti, la grande maggioranza, l'orgoglio del vivere civile, del credere nello Stato di diritto, del fare politica secondo razionalità ed equità.
Abbiamo avuto tutti la sensazione che lo Stato democratico in Italia da quella vicenda così angosciante abbia ricavato una consapevolezza nuova, che la Democrazia Cristiana sia stata attraversata da un sussulto di orgoglio, di ricerca di un adeguamento alla complessità de&li eventi come patrimonio più diffuso.
E difficile pretendere una comprensione adeguata dell'uomo e dello statista, ma mi preme sottolineare della sua figura e del suo insegnamento alcuni aspetti che considero importanti anche per noi.
Elemento caratterizzante della linea di Moro nel pensiero e nell'azione di leadership fu il tipo di equilibrio, particolarmente originale e storicamente maturo, che egli riuscì a stabilire tra dati e ispirazioni contrastanti. Nel quadro di una elaborazione intellettuale che armonizzava persona e società, società e Stato, pluralismo sociale e sintesi politica, etica e diritto, Moro perveniva ad una linea di azione tutta tesa a valorizzare «l'essenziale significato umanistico dello Stato». Mi pare oggi questo problema assai stimolante nella prospettiva di una risistemazione dello Stato sociale, che non disperda le grandi e importanti conquiste acquisite grazie alla democrazia e però smantelli tutto quanto è appesantimento burocratico, di su manizzazione e deresponsabilizzazione.
Un equilibrio particolarmente arduo da conseguire fu quello tra ispirazione religiosa e laicità dell'azione politica svolta dalla Democrazia Cristiana. Infatti se Moro dette negli anni '60-'61 un contributo decisivo ad affrancare da ogni intervento della gerarchia ecclesiastica le scelte del nostro partito (in relazione, in questo caso, alla politica di centro sinistra), egli fu poi assai fermo nel respingere i tentativi di disarticolare la Democrazia Cristiana dalla originaria ispirazione religiosa: per lui questo ancoraggio era garanzia di non acquiescenza all'esistente, di non appagamento per i risultati raggiunti, di stimolo ad una realizzazione sempre più compiuta, ma sempre imperfetta, dello «Stato del valore umano».
A questo proposito Moro espose il suo pensiero in un discorso del 18 luglio 1974 al Consiglio Nazionale della DC successivo all'esito del referendum del 12 maggio: in questo intervento, certo tra i più lucidi e precisi di Moro, questi distingueva nettamente tra la «discrezione» richiesta ai cattolici dal nuovo tipo di società (e cioè l'abbandono dello strumento della legge per affermare taluni valori) e la «rinuncia» all'ispirazione cristiana come evasione pragmatica: da accettare la prima, da respingere la seconda, anche perché gli altri partiti sono tutti «fomiti di ideologie» oltreché di formule per risolvere i diversi problemi della vita nazionale. Nel modo di reagire alla secolarizzazione, senza interventi statuali ma anche senza fughe nel privato, per una convinta presenza nella società italiana, Moro fu vicino a movimenti giovanili di base cattolica, con una attenzione partecipe che lo distinse, anche in questo, dagli altri esponenti del nostro partito. lo lo ricordo presente (ero allora giovane liceale) per due anni di seguito ai convegni di Assisi negli anni '68-'69, uditore appassionato, attento, mescolato tra la folla, con quell'ansia di cogliere quello che emergeva di nuovo nei giovani, con quella volontà e capacità di ascolto che erano tratti caratteristici di una personalità disponibile a seguire le nervature della storia.
La sua apertura ai giovani era tutt'altro che indifferenziata o compiacente: li sentiva alla periferia della società «secolarizzata» (e ne aveva in buona misura ragione) e voleva che ritornassero ad un impegno utile nella comunità.
Un altro equilibrio che più faticosamente Moro riuscì a conseguire riguarda il rapporto tra ciò che è dovuto e ciò che non è dovuto al partito cui si appartiene, e più in particolare, a quello cui egli appartenne.
Certo, Moro ebbe una concezione altissima della funzione dei partiti come risulta da gran parte dei suoi discorsi e in particolare da quello rivolto all'assemblea DC di Sorrento il2 novembre 1965. Nel partito si fondavano i momenti della rappresentanza e della decisione, con una sintesi nella quale la società già andava facendosi Stato; un luogo di doppia mediazione: oltreché tra società e Stato, anche «tra la realtà del presente, con la quale in larga misura si cimentano i governi, e la prospettiva di sviluppo, quel salto di qualità che si coglie irresistibile nella coscienza degli uomini e dei popoli». E ai dirigenti democratici cristiani della provincia di Bari (31 gennaio 1969) richiamava il compito del partito «di riportare allo Stato quello che dalla società deve necessariamente giungere allo Stato, perché la stessa autonomia della vita sociale sia opportunamente garantita e sviluppata». Evidentemente per una funzione di questa grandezza, per svolgerla con successo, si richiede un alto grado di tensione etica.
E Moro su questo terreno era assai esigente con gli altri e con se stesso. L'equilibrio più significativo realizzato da Moro si situa tuttavia al livello più alto della politica costituzionale, nel senso che tutte le scelte di maggior rilievo possono e debbono essere lette in chiave di contributo alla «grande governabilità dello Stato democratico». C'è dunque un equilibrio, generalmente realizzato, tra le formule di governo e di schieramento maggioritario e il modo di tenere i rapporti con l'opposizione, da una parte e dall'altra la tensione ad integrare nello Stato democratico immediatamente i partiti e mediatamente le masse degli iscritti e degli elettori da essi rappresentati.
Moro persegui in grande la democratizzazione sempre più piena dello Stato italiano con varie iniziative. C'è in prima linea il mezzo più noto e cioè l'allargamento della base di governo: rendere più rappresentativo il vertice del potere esecutivo, renderlo, capace di rappresentare uno schieramento più ampio di partiti e di elettori è chiaramente finalizzato all'allargamento della base popolare dello Stato, all'inserimento nell'ordine statuale delle masse in ascesa; è, inoltre, uno strumento di democrazia consociativa che può essere utilizzato nella misura e per il tempo in cui è necessario perseguire quel fine di integrazione di forze politiche e sociali nell'ordinamento democratico, che in un momento storico futuro potrebbe pure ritenersi attuato.
Il secondo mezzo messo in opera da Moro è un tipo di confronto con l'opposizione che tende a ridurre la distanza ideologica nel sistema economico-sociale; il processo di depolarizzazione ideologica nel sistema partitico italiano ha fatto passi notevoli, e non solo nel linguaggio, anche se è mancato, finora, quell'approfondimento su alcuni aspetti fondamentali del tema costituzionale che solo potrebbe condurre il processo ad un approdo sicuro.
Nell'esperienza di Aldo Moro troviamo coniugata ai livelli più alti la mediazione tra fede e politica, cultura e politica, che è stata conquistata negli anni fecondi di un movimento cattolico associato che ebbe il carico di inserirsi nella tradizione del partito sturziano e però conquistare la centralità e la guida dello schieramento politico per gestire il passaggio dalla società rurale alla società industriale in un quadro di certezza democratica. In una fase nella quale i partiti, il nostro partito, stanno sforzandosi di adeguare la propria proposta e il proprio modo di essere ad una società che cambia radicalmente, il riferimento all'ispirazione cristiana e il recupero di una tensione morale e culturale diventa impegno primario.
Moro invitava spesso la DC a vivere e ad accettare la complessità e ne ha dato una lezione insuperabile. Amava anche ricordare però l'importanza dell'unità quando essa è consapevolezza comune di quello che siamo e rappresentiamo, cioè una realtà unica e insostituibile, per questo nostro paese, e però sappiamo viverla con libertà, con fede trasparente e spirito di servizio.
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