Quaderni di Humanitas – Brescia 1997
MARIO FAPPANI
GERVASIO E L'AMICIZIA COME FONDAMENTO DELL'IMPEGNO CIVILE
È con immutata sofferenza che, a ormai dieci anni di distanza dai giorni drammatici della scomparsa di Gervasio e della sua famiglia, quanti gli furono amici e compagni di strada nel suo breve, ma intenso e appassionato cammino al servizio della società, interrogano la propria memoria per rivivere il significato più vero di quella irripetibile, comune esperienza.
Il vuoto conseguente alla sua dipartita e, ancora prima della sua morte, quello lasciato in tutti noi da testimoni genuini del movimento cattolico-democratico bresciano come Michele Capra, al cui fianco abbiamo avuto la fortuna di camminare negli ultimi decenni, si tramuta talvolta in doloroso smarrimento in questo tempo in cui, caduti in larga misura per molti i grandi riferimenti ideali dell'agire politico, non è dato di intravedere, di fronte a tanta sconsiderata confusione di lingue e a tanta incertezza, un approdo alla nostra ansiosa ricerca.
Ma scandagliare anche i più reconditi anfratti della nostra memoria, per ricordare le comuni esperienze vissute con amici come Gervasio nella società, nel partito e nelle istituzioni, può aiutarci a superare le difficoltà in cui ci dibattiamo in questi anni di transizione senza fine a un domani nebuloso, di cui è ardua impresa scorgere anche solo i connotati più generali. E ricordare la vita, i gesti, le parole dei migliori tra di noi che ci hanno preceduto nella casa del Padre può sollecitarci a rinnovare le ragioni più vere di quell'impegno sociale che è alla base della vocazione politica di molti di noi. Le stesse ragioni che hanno spinto Gervasio, fin dagli anni della prima giovinezza, a spendere tanta parte di se stesso nella costruzione di una società «a misura d'uomo», di tutti gli uomini, in particolare di quelli meno dotati di strumenti culturali ed economici per affermare i propri diritti di cittadinanza all'interno del nuovo ordine sociale.
«Non è un problema soltanto di strutture bensì anche di mentalità e di valori - egli diceva nel suo ultimo discorso elettorale in occasione della chiusura della campagna elettorale a Coccaglio, poche settimane prima della sua tragica scomparsa -. Occorre riportare al centro della società il valore della persona umana, della sua dignità, che conta più del progresso, del profitto, dell'economia, e che è portatrice di alcuni diritti inalienabili come il diritto alla libertà, alla pace, alla vita, alla salute, al lavoro».
È bene dunque riandare con la memoria alle tante piccole e grandi battaglie combattute al fianco di amici come Gervasio Pagani, perché ricordare il generoso impegno di tanti, noti o sconosciuti militanti, può aprire il cuore alla speranza che il movimento cattolicodemocratico possa rivivere presto una nuova feconda stagione di idee e di positivi fermenti nel nostro Paese. Si tratta peraltro di compiere un gesto doveroso se è vero che i movimenti culturali, sociali e politici perdono di vigore o scompaiono dallo scenario della vita sociale solo quando, nei naturali eredi del loro patrimonio ideale, viene meno il coraggio di rivivere dentro di sé e far rivivere negli altri, in particolare tra i giovani, il significato più vero della testimonianza umana e civile dei migliori tra i protagonisti umili o grandi della storia anche recente del nostro Paese.
Peraltro non pare a me possibile compiere una rivisitazione della vita pubblica di Gervasio senza collocarla sullo sfondo di una non esigua schiera di amici nelle varie realtà sociali in cui egli ha operato. A partire dalla sua amata Coccaglio, la comunità in cui ha compiuto i primi passi verso una solida formazione politica, nutrita da una convinta fede cristiana e irrobustita da una vasta cultura filosofica e umanistica. Comunità in cui ha sperimentato, come testimoniano i coetanei che l'hanno accompagnato nell'assolvimento dei primi compiti politici all'interno della sezione locale della D.C., il grande valore democratico e civile dell'istituzione Comunale, come luogo privilegiato di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica, senza pretendere per sé (ma questa sarà una costante della sua esperienza politica anche a livello provinciale e nazionale) poltrona alcuna, ma facendosi al contrario carico di preparare con scrupolosa serietà gli amici che si candidavano alla funzione di amministratori a svolgere con grande responsabilità i compiti che li attendevano. E ciò attraverso il paziente e costante metodo di gruppi di studio e di seminari di lavoro meticolosamente organizzati.
Amicizia dunque come fondamento di quella affascinante avventura che era la preparazione della nuova generazione coccagliese alla funzione di classe dirigente onesta, preparata, idealmente fondata sul patrimonio di valori propri del movimento cattolicodemocratico, la cui storia, nei suoi connotati bresciani, nazionali e internazionali, Gervasio aveva approfondito con un continuo studio sui testi dei maggiori pensatori e sulle biografie dei principali maestri e testimoni: da Mounier a Maritain, da Sturzo a De Gasperi a Dossetti, agli amatissimi don Mazzolari, don Milani e Padre Davide Turoldo.
Così come fondamentale è stato per la crescita e la maturazione politica di Gervasio il suo rapporto con il «Gruppo», quello più ristretto degli amici della sinistra D.C. bresciana che, prima nel travagliato passaggio dall'esperienza di Forze Nuove all'area Zaccagnini, e poi, dopo la scomparsa di Michele Capra, nel Circolo Culturale che ne porta il nome, hanno costituito il riferimento quotidiano delle sue riflessioni e delle scelte. Una esperienza quella del «Gruppo» di vicolo S. Clemente che contribuirà forse in maniera determinante a incanalare definitivamente nella vita di partito la prorompente carica di vitalità e il generoso attivismo che contrassegnavano i suoi anni giovanili. Senza questo gruppo di amici, con i quali confrontava le proprie idee e con i quali condivideva i progetti e le strategie, non sarebbe forse stato possibile per Gervasio, «anomalo» cattolico-democratico bresciano per intransigenza e una sorta di naturale radicalismo della visione politica, ricoprire l'incarico di segretario provinciale della D.C. bresciana per ben tre anni, dall'81 all'84. Segretario e dunque principale dirigente di una forza politica che dal dopoguerra raccoglieva in terra bresciana una tale vastità di consensi da farne il punto di riferimento obbligato di tutte le più importanti scelte istituzionali nella nostra realtà provinciale. Né senza il convinto sostegno del suo gruppo di amici bresciani, Gervasio avrebbe potuto compiere quell'altra interessante esperienza, a partire dall'82, di consigliere nazionale della stessa D.C., un «parlamentino» in cui sedevano tutte le personalità di maggior prestigio del partito di maggioranza relativa, al cui interno si svolgevano dibattiti e confronti decisivi per le sorti di governi e di legislature nel nostro Paese.
Nel «Gruppo» Gervasio ha «imparato» ed esercitato la pazienza del confronto, quell'azione di umile relazione con persone che, anche se legate tra di loro da una convinta adesione agli stessi valori di fondo, poiché erano ricche di diverse esperienze di vita e di lavoro, oltre che dotate di diverso livello culturale e scolastico, esprimevano legittimamente, in una realtà associativa che praticava la democrazia come modalità essenziale di comportamento, opzioni diverse sulle scelte da adottare nei vari passaggi della vita politica e istituzionale.
Una attitudine al confronto quella nella quale Gervasio si è formato a Coccaglio e a Brescia, nell'ambito dell'attività del Circolo Culturale M. Capra e della Sinistra D.C., che lo porterà a maturare una adesione spesso sofferta alla pratica della mediazione, in alcuni passaggi difficili della sua esperienza di segretario provinciale. Una adesione sofferta che mai - nei momenti decisivi, quelli delle scelte più difficili e importanti - indebolirà la sua capacità di coerenza alle idee in cui credeva. (Come non ricordare, a questo proposito, la sua straordinaria attitudine al confronto delle diverse posizioni, anche con personalità famose del partito, come De Mita segretario nazionale degli anni Ottanta o i rappresentanti del mondo associativo e imprenditoriale?)
Da qui, da questo suo modo fiducioso di rapportarsi con gli amici più cari, la sua crescita e maturazione personale e la crescita e maturazione di coloro che gli erano più vicini.
Tutti noi che abbiamo vissuto al suo fianco, dai primi anni Settanta al giorno della sua scomparsa, le vicende politiche bresciane, regionali e nazionali, dobbiamo a Gervasio un significativo contributo alla nostra formazione politica. Era il suo uno spontaneo ricercare in coloro che lo attorniavano, nei coetanei di Coccaglio e in quelli del movimento giovanile dei paesi più vicini prima, e nei compagni di avventura della sinistra D.C. provinciale poi, così come in quei dirigenti di partito che, pur provenienti da esperienze correnti zie di diverso segno lo stimavano per la forte tensione ideale che animava la sua vita, la controprova quotidiana delle proprie intuizioni e la giustezza delle battaglie in cui maggiormente si sentiva impegnato: dalla difesa della libertà di insegnamento (chi non ricorda il suo tenace impegno per la sopravvivenza delle IPAB, e, con esse, in particolare, di quelle che gestivano le scuole materne?), all'impegno costante per l'affermazione dei diritti e della dignità delle classi più umili e per la attuazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa, attraverso lo strumento di un partito che immaginava animato dall'ispirazione cristiana, ma autenticamente laico nella sua azione.
Dopo ogni incontro, dopo ogni convegno chi gli era vicino recava in sé la sensazione immediata che dagli amici, dal confronto con le loro idee egli ricavasse un grande arricchimento e nuovi stimoli per la propria azione nelle varie realtà in cui si trovava ad operare da protagonista. E ciò accadeva soprattutto quando si confrontava con quei mondi vitali che erano i giovani della scuola o ancor di più, e con appassionata partecipazione, quando contribuiva alla elaborazione delle linee e delle strategie per la crescita del mondo del lavoro attraverso le discussioni, in particolare con gli amici della FIM CISL OM di Brescia e con quelli che erano protagonisti delle difficili battaglie sindacali nelle fabbriche bresciane, aggredite da crisi occupazionali o da rigide conduzioni padronali.
Il partito in cui militava era dunque lo strumento per una politica interclassista, mai però interpretata, come accadeva ad altri furbescamente, come copertura degli interessi più forti; anzi, l'interclassismo, era l'espressione più democraticamente sofferta del solidarismo cristiano contro una concezione della lotta di classe che si fondava sull'odio e sull'intolleranza. Gli amici lavoratori cattolico-democratici della OM e di altre fabbriche bresciane erano impegnati fin dalla fine degli anni Cinquanta in un'azione di difficile e spesso costosa testimonianza ai principi del solidarismo cristiano. Una azione spesso incompresa, se non apertamente osteggiata, dalla componente più conservatrice del mondo cattolico bresciano e della stessa D.C. da una parte e, dall'altra, in stato di perenne confronto-scontro con le rappresentanze sindacali socialiste e comuniste. Ebbene, Gervasio ha partecipato con entusiasmo a questa storica esperienza, offrendo anche un importante contributo di idee alla impari battaglia che gli stessi lavoratori combattevano contro le tendenze alla burocratizzazione del sindacato e contro gli ostacoli spesso artificiosi frapposti alla unificazione in un unico grande movimento della CGIL, della CIS L e della UIL. In una semplice pubblicazione dal titolo «Presenza Democratica», a periodicità variabile, perché autofinanziata proprio dai lavoratori democratici cristiani bresciani, sono riassunte con chiarezza le posizioni di quella parte della sinistra D.C. che era denominata impropriamente come «sinistra sociale», quasi a limitarne la visione politica solo ad una lettura sociologica della realtà in cui operava. Gervasio è stato di quella pubblicazione, come anche del foglio di informazione che più tardi sarà edito a cura del Circolo Culturale Michele Capra sotto il significativo titolo di «Quaderni per il Confronto e per il Dialogo», uno dei redattori più solerti ed efficaci, anche se gli articoli apparivano sovente senza firma alcuna, perché erano il frutto di comuni elaborazioni tra i lavoratori e gli altri amici del «Gruppo».
Anche nelle ACLI, di cui ha sempre difeso la fondamentale funzione formativa delle realtà popolari del mondo cattolico, Gervasio ha potuto annoverare amici con cui condividere progetti e iniziative. La modesta condizione economica della maggior parte delle famiglie dei dirigenti del «Gruppo» di vicolo S. Clemente non consentiva naturalmente che si potessero svolgere colazioni di lavoro presso ristoranti o trattorie rinomate e le mense ACLI, soprattutto quella della sede di via Monti, erano i luoghi consueti ove consumare un pasto assieme ad ospiti in visita nel bresciano o ad amici del movimento sindacale, delle ACLI stesse o del partito. Ed erano pranzi frugali, conditi dal buonumore di qualche barzelletta, di qualche annotazione ironica (Gervasio era dotato di un humour immediato e spontaneo), ma soprattutto occasioni di approfondimento delle problematiche più attuali della vita politica; occasioni ancora di formazione personale e di gruppo.
Una attività questa della formazione che era il suo affanno più grande e per certi versi la sua meritoria «ossessione». Nella assenza di una vera azione formativa riscontrava uno dei limiti più gravi del partito, perché aveva chiara la convinzione che aderire ad una forza politica senza conoscerne la storia migliore e l'impegnativa eredità ideale era consegnare il proprio futuro ad un declino inarrestabile. Quante volte mi è capitato di riflettere con lui insieme ad altri amici sui rischi davvero incombenti di un simile destino di fronte alla corsa al tesseramento come «acquisto» di quote di potere da spendere in occasioni congressuali ai vari livelli al fine di collocare in posti di potere uomini dotati solo di fedeltà indiscussa ai capi corrente ma privi di un minimo di conoscenza della storia e gravemente inconsapevoli del patrimonio di valori che veniva loro consegnato in conseguenza dei mandati ricevuti!
L'amicizia era dunque davvero il fondamento di questa azione di autoformazione e crescita personale oltre che il terreno privilegiato per la formazione politica delle nuove classi dirigenti.
Gervasio sottolineava spesso come la forte accelerazione dei processi culturali, economici e sociali di cambiamento sollecitasse uno sforzo straordinario di formazione di politici dotati di capacità di orientare ai valori, di studiare, di riflettere, di apprendere e di acquisire competenze tecniche. Ma egli pensava ad una formazione basata sulla concezione dell'agire politico eticamente fondato sui principi dell'onestà personale, sulla trasparenza dei comportamenti pubblici e privati, sulla finalizzazione generosa di ogni gesto al perseguimento del «bene comune».
Una convinzione questa propugnata con tanta radicalità da generare in chi non lo conosceva da vicino non poche incomprensioni e talvolta aperta ostilità da parte di coloro che scambiavano la sua intransigenza per arroganza culturale e morale. E ciò accadde soprattutto quando, con l'avvento alla segreteria provinciale, tentò anche a livello bresciano la difficilissima azione di un reale rinnovamento della classe dirigente, sulla scorta del positivo esperimento in corso ormai da anni nella sua Coccaglio. Nell'ambito provinciale infatti le difficoltà si manifestarono ben più grandi per la notevole complessità degli interessi in campo e per la dimensione davvero rilevante del potere in capo al partito della D.C. Ricordo ancora come, nel congresso che precedette la sua elezione a segretario provinciale, toccò proprio a me presentare quell'organico programma di nuove regole per la scelta della futura classe dirigente che venne etichettato come il «decalogo» della D.C. bresciana in tema di nomine ai vari incarichi pubblici e di partito. Quel documento, approvato all'unanimità dai delegati, era il frutto di una paziente discussione nata proprio nella cerchia degli amici del nostro gruppo e partiva dalla concreta testimonianza di disponibilità al rinnovamento data da uomini come Michele Capra, il quale, con un gesto assolutamente inusuale per un deputato in carica con concrete possibilità di elezione, contro il parere unanime di tutti i suoi più cari amici, aveva deciso nel 1976 di non accettare una nuova candidatura, anche se aveva ricoperto l'incarico di parlamentare per sole due legislature. Ma quelle regole rappresentavano davvero una grande «scomodità» per uomini politici che spesso anche da noi scambiavano la necessità di professionalità nell'assolvimento dei compiti amministrativi e parlamentari per professionismo e dunque non erano minimamente disponibili ad un ricambio negli incarichi ricoperti, anche se proprio il mancato rinnovamento della classe dirigente si rivelava con chiarezza il principale ostacolo al rinnovamento del partito di maggioranza relativa e, cor esso, di tanta parte della politica italiana.
Ancora una volta, nella sua esperienza a livello provinciale, Gervasio dovette dunque verificare con mano come l'elaborazione di una linea politica, della cui giustezza era profondamente convinto (elaborazione possibile perché svolta dentro una schiera di persone amiche che, pur dotate di diversa sensibilità e preparazione culturale, erano animata dalla stessa convinta adesione a comuni ideali), si scontrasse con la durezza degli interessi personali, diversamente collocati nel panorama vasto di un partito, nella sua maggioranza de suoi dirigenti, ormai più attento alla gestione dell' esistente che preoccupato di costruire una strategia per il futuro.
Da qui, dalla difficoltà di attuare una linea di rinnovamento che egli riteneva assolutamente necessaria, pena la decadenza inarrestabile del partito dei cattolici democratici, oltre che dal disagio legate allo svolgimento di un incarico come quello di segretario provinciale, che per sua natura pretendeva una paziente opera di estenuanti mediazioni, molte e non piccole delusioni derivarono per Gervasio fino alla decisione di rassegnare le proprie dimissioni.
Ma il rinnovamento, come necessario fondamento di una strategia politica a difesa degli interessi popolari, sarà comunque sempre il suo costante assillo. In questo panorama di azione si inquadra dunque tutta la sua partecipazione e il suo grande contributo alla nascita della «Lega Democratica». Un contributo che si concretizzerà, accanto agli amici di sempre del «Circolino» e alle nuove amicizie di livello nazionale (Scoppola, Ardigò, Gorrieri, Pedrazzi, ecc.), nei convegni nazionali presso la Camera di Commercio di Brescia e nel mensile «Appunti di Cultura e Politica», edito qui da noi grazie alll consueta, generosa disponibilità di don Mario Pasini e alla intelligente e costante collaborazione, tra gli altri, di un amico davvero caro a Gervasio come Luigi Bazoli.
E tutto era fatto con dedizione davvero grande, con una sorta di «affanno» spirituale, quasi che egli presagisse che una tempesta d’inaudite proporzioni si sarebbe altrimenti abbattuta sul partito dei cattolici italiani, come poi avvenne. E sempre di corsa. Ricordo ancora con commozione come, recandomi ogni mattina alla stazione ferroviaria dal giugno '80, per salire sul treno per Milano, ove svolgevo l'incarico di Consigliere Regionale, al quale ero stato eletto grazie all'appoggio generoso di tanti amici come Gervasio, cui non erano state rimborsate neanche le spese della benzina da loro sostenute per i tanti viaggi compiuti, a mio sostegno in campagna elettorale, mi sfrecciasse davanti sulle scale con la solita cartella di plastica sotto il braccio, lui il segretario provinciale del più importante partito bresciano, un partito che gestiva un vasto «potere». Forse proprio per questa sua capacità di testimoniare con severità di costumi l'alto valore della politica come «la più grande espressione della carità» egli avvertiva, meglio di molti di noi, l'urgenza del rinnovamento del partito dei cattolici italiani.
Forse proprio per questo, aveva capacità di futuro in un contesto di verità, caratteristica questa, preziosa di pochi uomini coraggiosi, quando prevale nella società la tentazione al cinismo, e in contesto di passione, quando nel tempo che ci è dato di vivere, di fronte al persistente vuoto di ideali, nascono e si consolidano ormai in troppi, sentimenti di disperazione e di paura. Una disperazione e una paura che portano a ritenere «obiettivi» da perseguire ad ogni costo, la divisione del Paese e la lotta al diverso e che rafforzano nei componenti della «società dei due terzi», di cui spesso parlava Gervasio, la voglia di rinchiudersi nella difesa dei propri interessi economici, contro ogni ragione di giustizia sociale e ogni principio solidaristico.
Una esperienza per certi versi straordinaria, dunque, quella compiuta con Gervasio, dai non pochi amici che l'hanno conosciuto più da vicino e che hanno tessuto con lui la trama fitta di un impegno intenso e appassionato, al servizio dell'idea cattolico-democratica. Tanti amici, nei diversi ambiti sociali in cui egli ha operato. Da quelli degli anni giovanili a Coccaglio, di cui altri parleranno nell'ambito di questa pubblicazione, ai coetanei del movimento giovanile: Beppe Taini di Ospitaletto, Danilo Guarneri di Rodengo Saiano, Franco Franzoni di Castegnato, Tonino Zana di Orzinuovi, Aurelio Bertozzi di Travagliato, Martino Squaratti di Capodiponte. Ai lavoratori della OM-FIAT di Brescia, che costituivano anche l'ossatura principale del Circolo M. Capra: Gianni Landi, la «guida» e il riferimento principale per le scelte politiche dello stesso Gervasio; Piero Lussignoli, che con Michele Capra è stato per tutti noi la riprova della capacità del mondo del lavoro a ricoprire con dignità il ruolo di classe dirigente anche nella sede impegnativa e prestigiosa del Parlamento nazionale; Luigi Gaffurini, attuale presidente provinciale delle ACLI e protagonista con molti altri colleghi delle fabbriche metalmeccaniche bresciane (Maffetti, Minessi, Di Blasi, Taglietti, Paletti, Benedini, Ghizzardi per citarne solo alcuni), di battaglie sindacali e sociali, la cui risonanza ha spesso superato i confini bresciani per il significato emblematico che esse assumevano, com'è il caso della cosiddetta manifestazione degli «autoconvocati». A questi vanno associati quei dirigenti provinciali, cittadini o più periferici del «Gruppo», che hanno partecipato con assiduità accanto a Gervasio alle vicende politiche di quel periodo: Egidio Papetti, Giambattista Brivio, Arsenio Entrada, Franco Gheza, Sandro Marelli, Francesco Mascoli, Maria Paola Monolo, Bruno Frugoni e Gianni Mattei di Brescia; Vincenzo Filisetti e Riccardo Imberti di Coccaglio; Costantino Serra di Ome; Roberto Ravelli Damioli e Bruno Ducoli della Valle Camonica; Giancarlo Bertolotti di Desenzano; Sergio Bonetti di Lumezzane e molti altri. Agli amici del più vasto contesto della sinistra D.C. nazionale: Guido Bodrato innanzi tutto, ma anche Sergio Mattarella e Carlo Fracanzani; o quelli della sinistra D.C. bresciana: Franco Salvi, Mino Martinazzoli, Piero Padula, Ciso Gitti, Vittorio Sora, con la cui realtà organizzata, in un contesto anche non sempre facile di rapporti, Gervasio poté sperimentare forse la più entusiasmante esperienza di collaborazione tra uomini di diversa estrazione sociale e diversa formazione e sensibilità culturale nell'ambito del movimento cattolico-democratico bresciano: quella che diede vita alla cosiddetta «Area Zaccagnini». L'esperienza politica di Gervasio si è caratterizzata dunque per un rapporto costante di mutuo sostegno con tanti convinti militanti del mondo cattolico-democratico bresciano e in lui era ferma la convinzione che, nonostante i limiti evidenti del partito democristiano, lo strumento di una grande forza politica fosse necessario alla realizzazione del disegno in cui credeva quello del riscatto e della crescita delle classi popolari. Uno strumento senza il quale, nessuno di noi avrebbe potuto partecipare alla elaborazione delle linee politiche, in qualità di classe dirigente, perché, nessuno di noi, veniva da ceti sociali tradizionalmente «forti».
Anche per questo mi è capitato spesso in questi dieci anni di chiedermi, di fronte a difficili decisioni politiche, come si sarebbe comportato Gervasio, con il suo carattere cosi diverso dal mio e da quello di altri amici. Più volte, sono anche stato tentato di interrogarmi su quale sarebbe stata la sua scelta, rispetto a quelle compiute negli anni scorsi da alcuni tra i suoi più cari amici che, diversamente da me e dalla maggior parte degli esponenti del «Gruppo», hanno imboccato la strada della militanza nello schieramento di «sinistra». Una decisione questa che, se non ha incrinato gli antichi sentimenti di stima reciproca tra di noi, ha indebolito, forse fino ad annullarne per il futuro, le residue potenzialità, l'azione che il «Gruppo», a mio avviso, poteva ancora svolgere, sia pure in un contesto radicalmente diverso rispetto al periodo in cui operava con noi Gervasio.
Tuttavia, ogni volta che mi assalgono questi interrogativi, rinuncio con fermezza a cercare dentro di me una risposta, perché credo che, tenere un diverso atteggiamento, sarebbe fare torto alla sua memoria e al messaggio che Gervasio, Michele Capra, Stefano Frerini e tanti altri amici meno noti del «Gruppo», insieme a personaggi prestigiosi o non dell'intero movimento cattolico-democratico bresciano, ci hanno lasciato, e cioè che, qualunque sia lo strumento partitico o associativo prescelto per concretizzare il proprio impegno politico e sociale, ciò che conta è, proprio come ha detto l'amico Pagani nel suo ultimo discorso, che i giovani si sentano «orgogliosi» della nostra eredità e che siano chiamati ad esserne degni.
Tra l'altro, va comunque sottolineato che, mentre alcuni di noi hanno scelto di continuare con encomiabile dedizione la battaglia politica quotidiana, per tentare, per dirla con le parole di Gervasio, «di essere all'altezza del tempo che ci è dato di vivere, accettare e gestire il nuovo senza perdere però i legami con il passato, quel senso di appartenenza ad una storia comune, a gioie e sofferenze vissute in atteggiamento di condivisione con gli altri, che solo rende umana, irripetibile, un valore sacro e inestimabile, la vita di ciascuno», altri, più pensosi sulla strada da intraprendere, come dice il poeta, «si sono seduti ai bordi del silenzio». Essi stanno sulla soglia delle cose per tentare di «custodire castamente la frontiera» e difenderla dagli assalti inconsulti dei nemici vecchi e nuovi.
Due diversi modi di rispondere all'urgenza dell'impegno personale al servizio dell'uomo, ma due modi entrambi dignitosi di assolvere al dovere della «politica» nella sua accezione più alta.
Il mio augurio a tutti i compagni di Gervasio di un tempo, è che il commosso ricordo della sua «scomoda» amicizia, sia propizio di frutti copiosi di generosa dedizione alla causa dei più umili e dei più indifesi, ovunque ognuno intenda collocare il proprio personale impegno civile.
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