LAURA VENTURI
LA PASSIONE DELL'INSEGNAMENTO SCOLASTICO COME FORMA D'EDUCAZIONE DEI GIOVANI ALLA RESPONSABILITÀ
Ero in ufficio, seduta davanti al computer, la scrivania coperta da documenti da firmare, lettere a cui rispondere, ed il telefono con il suo squillare incessante.
La voce di Riccardo ha interrotto il ritmo della mia giornata fatta di mille impegni, date, appuntamenti, per parlarmi di un'iniziativa in occasione del decennale della morte del professor Pagani.
È stato quando la telefonata si è interrotta, che in un attimo, i dieci anni trascorsi si sono annullati, il mio ufficio si è trasformato in aula di scuola superiore, quell' aula in cui ci siamo radunate tutte noi compagne di classe, come per un appuntamento mai dato ma al quale non potevamo mancare.
Era la mattina del 13 luglio 1987.
Raccontare cosa ha significato per me Gervasio Pagani come professore di storia e filosofia negli anni di liceo dal 1984 al 1987, non può riguardare solo la sua figura d'insegnante, ma anche quella storia che si è svolta al di là delle parole, delle lezioni, del quotidiano incontrarsi in un'aula di scuola.
La storia della mia crescita.
Accade in ogni incontro tra più persone, che si creino tra alcune dei legami forti, dovuti a comunanza di vedute, particolari affinità, e tra altre, una semplice conoscenza destinata a non far parte dei ricordi importanti.
Fin dal primo incontro tra la terza B del Liceo Linguistico «London College» ed il professor Pagani si è verificato qualcosa di simile: per alcune di noi è stato l'inizio di una bellissima esperienza, per altre la conoscenza di un nuovo insegnante, uno tra i tanti.
Mi chiedo a volte, ancora oggi, come possa una persona come il professor Pagani, aver suscitato in noi, ragazzine di 15 anni, reazioni tanto contrastanti, dall'apprezzamento incondizionato, che a quell'età può diventare quasi «venerazione» ad una forma d'insofferenza nei suoi confronti.
Raccontare di lui e di quegli anni è pertanto possibile solo in forma parziale, parlandone attraverso i ricordi d'alunna seduta in terza fila, tra altre 28 ragazze, ognuna delle quali, se fosse al mio posto ora, racconterebbe una storia completamente diversa.
Così lo ricorda Simona Guaini, amica e compagna di liceo:
«Parlare del professor Pagani è certamente riportare alla mente il ricordo di un uomo forte, severo, talvolta burbero, temuto e temibile per ragazzine di quindici anni che vivono la scuola alternandovi momenti di amore ed odio. Un insegnante che amava trasmettere qualcosa che andasse oltre le parole di un libro di storia o la citazione di un gran filosofo.
Stimolare le nostre menti non era sicuramente facile, se ripenso alla spensieratezza della nostra vita di allora.
Ma di certo, in un modo o nell'altro, lui è stato una persona in grado di scalfire, di lasciare un segno in ognuna di noi.
Per la convinzione con cui percorreva la storia, per l'entusiasmo con cui c'insegnava a pensare, per la severità con cui pretendeva risposte.
La nascita di un'associazione a lui intitolata, la continuità di un suo pensiero e modus vivendi è indicativa di quanto la cultura e la sua diffusione siano stati per lui importanti.
Ma soprattutto ancora oggi, vive in questo modo quella parte più appassionata di lui precocemente spezzata».
Il professor Pagani ci è apparso subito per quello che sarebbe stato nei tre anni a venire, un professore molto esigente, severo, con qualcosa di diverso dagli insegnanti conosciuti fino allora nel parlarci delle sue materie.
La storia era una materia che si studiava fino dalla scuola media, ma che ora era spiegata e, nota dolente, era fatta spiegare durante le interrogazioni, cercando di andare al di là degli eventi, delle date, dei singoli nomi.
Durante le lezioni, il professor Pagani voleva farci afferrare il significato di un evento, il suo collegamento con il passato e soprattutto il suo impatto sul futuro ed allo stesso modo, nell'interrogarci voleva che, oltre a sapere cosa era successo, sapessimo dirgli perché un tal evento era successo, e cosa sarebbe accaduto in seguito.
Nel fare questo era sicuramente un insegnante di storia pignolo.
attento ad ogni dettaglio, severo nel giudicare, ma pronto a capire che si può anche dimenticare una data, se si ha chiaro il contesto storico del quale si stà parlando.
È stato però come insegnante di filosofia che ha rappresentato per me un vero maestro.
Cercare di spiegare cos'è la filosofia è come spiegare che sapore hanno le fragole a chi non le ha mai assaggiate, si può approssimare, fare paragoni, ma non si riuscirà mai ad ottenere l'effetto voluto, il gusto delle fragole.
Ripensando oggi alle lezioni di filosofia non mi viene in mente una materia da insegnare e capire ma piuttosto una strada da percorrere, un cammino.
Per non spaventare chi legge, vorrei premettere che non inizierò a lodare la filosofia quale «scuola di vita», perdendomi nel banale, nel retorico delle frasi già dette mille volte.
Mi arrischio a parlare di un argomento così profondo perché posso farlo da non addetta ai lavori, da persona che, nonostante il grande amore provato per la filosofia dai 15 ai 18 anni, ha poi intrapreso una strada di studi economici ed una carriera nel mondo aziendale, interessante, stimolante, rischiosa e redditizia, ma ben lontana da qualsiasi accenno filosofico.
A ben guardare, l'insegnamento più grande non è collegato a particolari teorie o alla figura di alcuni filosofi.
Ci sono state certo alcune figure che mi hanno più di altre interessato, ma il vero insegnamento è stato l'imparare a pensare.
Credo sia questa la scuola di vita che ho ricevuto dal professor Pagani quale mio insegnante di filosofia: imparare ad andare al di là del mondo come fin allora l'avevo conosciuto, a cercare una spiegazione di quella quotidianità di cui è fatta la nostra vita, così piccola, così banale eppure così incredibilmente profonda ed inspiegabile.
Ho riletto gli appunti delle sue lezioni, cercando di ritrovare lo spirito che le animava, di ricreare l'atmosfera di quell'aula, il silenzio carico di interesse, e perché no, di timore, mentre lo ascoltavamo, i suoi occhi che ci scrutavano, la sua voce calma, a tratti intensa, mentre ei parlava di concetti quali libertà, responsabilità, senso dello Stato.
Quasi senza accorgermene quei concetti stavano entrando in me, li assimilavo per poi rielaborali, rifletterei, discuterne, per fame parte della mia vita.
Si tratta di brandelli di lezioni, di frasi che spesso andavano al di la del singolo argomento, che ci parlavano della scienza dell'agire politico, della ricerca, comune a tanti filosofi, di una società ideale, nella quale l'uomo politico deve essere in grado di dominare gli eventi per volgerli ad un fine superiore, il bene dello Stato.
Quando l'azione politica chiama in causa un problema di scelte morali, compito dell'uomo politico è saper trovare una sintesi tra il dovere e le sue convinzioni, sapendo che l'accettabilità della scelta politica è data dai mezzi a cui si ricorre per raggiungere gli obiettivi.
La politica è fatta di obiettivi ma soprattutto di regole, e sono la conoscenza ed il rispetto di tali regole ciò che distingue l'agire dell'uomo politico.
TI fine dello Stato non è la forza ma la realizzazione di una società giusta, nella quale la dignità di ogni uomo viene rispettata, ed anzi nella quale l'uomo stesso è il primo valore che lo Stato deve rispettare.
In una tale società la religione non è una pratica rituale, ma un modo di vita, un valore interiorizzato nella coscienza, la stessa vita di Gesù è una sfida alla libertà dell'uomo, una provocazione alla sua coscienza.
La libertà è il valore primario, che rende l'uomo fondatore di leggi morali, una libertà costruita attraverso la conoscenza, e pure consapevole dei propri limiti.
Siamo uomini liberi e come tali responsabili delle nostre azioni in ogni campo dell'agire, dalla vita familiare alla vita politica.
Così se l'uomo guarda sopra di sé vede un cielo stellato nella sua bellezza ed impenetrabilità, se guarda dentro di sé trova la legge morale, non dettata dalla società, la quale può darci solo norme, consuetudini, bensì radicata in ogni uomo, tanto che anche il criminale più incallito può, per un attimo, compiere un gesto di grande bontà.
Soltanto attraverso la conoscenza l'uomo può crescere, liberarsi dalle passioni, fino ad elevarsi sub specie aeternitatis, vivendo appieno la propria esistenza umana, nella sua limitatezza, nella sua grandezza, nella profondità del suo mistero.
Dove finisce il professore e dove inizia l'uomo, dove si trova la frontiera tra la lezione di filosofia e la scuola di vita?
Credo non abbia senso cercare una risposta, perché quando un uomo ha dei principi in cui crede fermamente, sarà in grado di portarli con sé in ogni momento della sua vita, ed allora sarà un vero maestro come amico, come marito, come padre, come professore.
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